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"Rimini" di P.V. Tondelli
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Pensò che annegare forse doveva essere la stessa cosa: dissolversi rabbiosamente nella luce tropppo forte di un nuovo mattino.
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Si aggrappò e tirò con tutta la sua forza. Il chiarore entrò nel corridoio come un lampo. Strinse gli occhi.
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Barcollò fino alle tende, in fondo al corridoio che trattenevano la luce del giorno.
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Era arrivato il marito e se li era portati via con sè. Fu la prima volta che sentì una profonda, dolorosa nostalgia per quella luce che non c'era più.
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Quella mattina, per la prima volta, era spenta. La porta chiusa. Milvia era partita il giorno prima con i suoi figli.
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Impiegò molti minuti per salire le rampe di scale. Quando fu nel pianerottolo, gettò lo sguardo verso la porta da cui tante volte era provenuta quella luce calda e femminile.
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Verso il mattino, Alberto raggiunse la pensione. I suoi passi erano faticosi.
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per servire come sottofondo agli intrighi delle troie da balera. Lo lasciarono andare per i fatti suoi finchè, esausto, non cadde a terra.
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I compagni non tentarono di calmarlo. Quello era anche il suono di vendetta di tutti i musicisti condannati a suonare per accompagnare il chiacchericcio della gente,
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Si sarebbe detto che volesse lui stesso scoppiare nel suono del suo sax.
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Suonò così per tutta la notte, senza staccare mai.
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Raggiunse il palco e iniziò a suonare, benchè lo spartito non prevedesse in quel momento la sua entrata.